Surf, sci, running: tre sport raccolgono la sfida del cambiamento climatico

Surf, sci, running: tre sport raccolgono la sfida del cambiamento climatico

Montagne senza neve, spiagge che si erodono, città afflitte dal riscaldamento globale: il nostro grande terreno di gioco, il pianeta, sta subendo gli effetti del cambiamento climatico. 

Colpiti nella loro attività, sportivi e sportive sono in prima linea per lanciare l’allerta ma anche per agire. Focus su tre sport obbligati a cambiare tattica per sopravvivere.

L’impatto del riscaldamento climatico sulle nostre vette

Ad aprile 2021 il regista francese Hugo Manhes realizza un cortometraggio con uno sciatore che scende la montagna sul calare della sera, con la giacca e i pantaloni in fiamme. Questo film, che denuncia i danni del riscaldamento climatico sulle montagne, era in programma per il 2018 ma è stato cancellato per mancanza di neve.

Lo sport è, di fatto, un osservatorio ideale per misurare i cambiamenti subiti dal nostro ambiente.
Una competizione sportiva dopo l’altra, le piste da sci diminuiscono, i prati degli stadi si vedono invasi da nuovi funghi, le spiagge degli spot di surf si erodono, i terreni si riscaldano, i giocatori svengono per la disidratazione e gli allenamenti vengono sospesi per mancanza di aria pura.
Fortunatamente gli attori dello sport si mobilitano in tutto il mondo per salvaguardare il loro terreno di gioco, il pianeta.

Surf, sci, running: tre sport raccolgono la sfida del cambiamento climatico

Il surf è in cattive acque

In pochi altri sport la fusione tra essere umano e natura è forte quanto nel surf. Surfisti e surfiste, sempre vigili allo stato dell’oceano e alla qualità delle onde, osservano il mondo cambiare dalle spiagge di tutto il mondo. E non ci sono buone novità. Già quatto anni fa, un ricercatore dell’Università di Stanford ha constatato che nei prossimi 60 anni il 18% degli spot di surf più frequentati in California potrebbe scomparire.

 Secondo un altro rapporto pubblicato dal National Geographic nel 2018, nello stesso arco di tempo le spiagge simbolo della costa ovest degli Stati Uniti (Venice, Newport, Santa Monica) potrebbero ridursi di due terzi. Ma oltre a consumare le spiagge, i cambiamenti della temperatura, delle correnti marine e dei venti, l’erosione costiera e le catastrofi naturali sempre più frequenti ostacolano la formazione delle onde, che possono essere improvvisamente più alte o molto più basse.

In Francia, è colpito anche il litorale aquitano e l’erosione ha fatto ritirare le spiagge di decine di metri in pochi decenni. Le scuole di surf di Lacanau, cresciute in numero di nove volte tra il 1995 e il 2016, hanno deciso di unirsi per trovare modi più rispettosi di usufruire delle spiagge. A Tahiti, che ospiterà le prove di surf delle Olimpiadi 2024, anche la comunità Teahupo’o si mobilita con un collettivo per lanciare l’allerta sugli effetti che le installazioni faraoniche avranno sulla salute del litorale e delle onde. Ora più che mai, anche surfisti e surfiste sono gli occhi del cambiamento climatico: grazie ai professionisti del surftech, oggi esiste una pinna da tavola intelligente (detta SmartFin) capace di raccogliere dati oceanografici destinati agli studi scientifici sul litorale.

Gli sport invernali hanno le spalle al muro

Le stazioni sciistiche, ferme da un anno a causa della pandemia, non hanno ancora finito di soffrire. Con un innalzamento delle temperature previsto di 3 °C (fonte: Rapport DRIAS 2020) e 148 strutture alpine che vedono incombere su di sé la minaccia della chiusura definitiva entro il 2100, l’industria degli sport invernali va dissolvendosi – è il caso di dire – sotto l’effetto del riscaldamento globale.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Cryosphere, entro quella stessa data la copertura nevosa delle Alpi potrebbe diminuire del 70% . Una situazione che ovviamente non colpisce solo la Francia: stando alle cifre pubblicate da The Lancet, 8 delle 19 città che ospiteranno le Olimpiadi invernali dal 2024 non saranno più in grado di farlo entro il 2050.

"Stando alle cifre pubblicate da The Lancet, 8 delle 19 città che ospiteranno le Olimpiadi invernali dal 2024 non saranno più in grado di farlo entro il 2050. "

Per compensare la mancanza di un buon manto nevoso, molte stazioni si rifanno ai cannoni sparaneve, che vengono usati nel 32% delle aree sciistiche alpine: un dato aberrante quando si pensa all’impatto di questi macchinari sul consumo di acqua e di energia, e sull’ecosistema circostante.

Nel 2019 la stazione di Montclar, situata a media quota, ha persino organizzato consegne di neve con l'elicottero. Oggi le stazioni iniziano timidamente a guardare a soluzioni più sostenibili diversificando le loro attività con sport che non dipendono dalla neve, come la MTB, l’escursionismo, il parapendio, il trail, ecc.

Una mossa indispensabile quando si sa che servono almeno 100 giorni di apertura per garantire la fattibilità economica della stagione, stando al rapporto della Corte dei Conti pubblicato nel 2018. Sulle vette è in atto il cambiamento, accelerato dalla pandemia di COVID-19. La stazione Montclar promuove sul suo sito Internet la stagione estiva con lo slogan “Monta in sella, prepara l’ala, tira fuori le scarpe da escursionismo!”

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Le corse stanno al fresco

Oltre a sfidare il cronometro, ormai i corridori devono combattere contro il termometro. Gli organizzatori delle Olimpiadi di Tokyo, in programma per il 2020 e posticipate al 2021, avevano previsto di trasferire le prove di corsa (maratone femminili e maschili, 20 e 50 km) 800 km a nord, sull’isola di Hokkaido. Nel 2019, la capitale aveva infatti registrato un picco di 41 °C e si temeva che il caldo rendesse impossibile lo svolgimento della competizione. Una decisione che ricorda i Mondiali di atletica di Doha del 2019, dove i 33 °C e il 90% di umidità ancora presenti alle 23.00 avevano spinto molti sportivi ad abbandonare; o anche la Maratona di Boston del 2012, che aveva visto 2100 corridori disidrati a causa delle temperature superiori alla media stagionale.

Per far fronte a questo dato climatico, sempre più organizzatori posticipano l’orario delle prove al mattino presto o a fine giornata. A Doha, anche la maratona femminile è stata posticipata alle 23.59 nella speranza di godere di temperature più clementi.

In tutto il mondo, i professionisti dello sport riflettono su nuovi modi per far fronte ai nuovi dati climatici. In tutti i Paesi, sportivi e sportive si impegnano a praticare le loro attività in modo più responsabile (plogging, corsa di beneficenza, ecc.), per conciliare l’esercizio del corpo con l’esercizio dell’impegno ambientale. Questo spinge le organizzazioni sportive a impegnarsi a loro volta: in tutto, 80 organizzazioni sportive hanno firmato l’accordo quadro delle Nazioni Unite «Lo sport al servizio dell’azione per il clima». A oggi, si contano 14 Federazioni Internazionali (FI) di sport e i comitati organizzativi delle prossime tre edizioni delle Olimpiadi: Tokyo 2020, Pechino 2022 e Parigi 2024.
Sulla base dell’impegno a favore dell’equilibrio climatico, e puntando a una riduzione dell’impronta carbonica del 55% rispetto alle edizioni precedenti, Parigi ha formulato la sua candidatura vincente per il 2024.

IL NOSTRO IMPEGNO PER CONTRASTARE I CAMBIAMENTI CLIMATICI

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